Il Sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha annunciato l’intenzione di realizzare un #termovalorizzatore da 600.000 tonnellate l’anno. Non abbiamo al momento altre informazioni tecniche.
Si tratta di un deciso cambio di strategia rispetto a quanto sostenuto in campagna elettorale. Cosa che ha ovviamente fatto infuriare l’ala sinistra e verde della coalizione. Per non parlare del M5S. Al contrario, per molti è il segnale che si attendeva da tempo, visto che in questi mesi la situazione della città non pareva essere cambiata in nulla. Proverò a dare alcune indicazioni per una valutazione.
Cerchiamo, innanzitutto, di capire come sta messa Roma e perché siamo arrivati a questo punto. Roma produce, chilo più chilo meno, 5000 tonnellate di rifiuti al giorno. Circa due milioni all’anno. Dichiarando un 40% di raccolta differenziata. Ben lontani da quel 65% richiesto dall’Unione Europea e dalla legge italiana. Queste 5000 tonnellate non hanno una soluzione impiantistica di valorizzazione nella Capitale. Non ci sono gli impianti di compostaggio, non ci sono gli impianti di recupero delle frazioni come plastica e vetro, non ci sono neanche i siti di smaltimento finale come le discariche. Mancano, cioè, gli impianti che servirebbero a sostenere la raccolta differenziata, valorizzando gli sforzi dei cittadini. E la differenziata ferma al 40% ne è la riprova.
Roma è messa così perché in questi anni si è detto “no” a tutto, con le procedure autorizzative bloccate per decenni per qualsiasi tipo di impianto. Qualsiasi. Di fronte a questo scenario, il Sindaco Gualtieri ieri ha annunciato una scelta. Quella di un impianto che bruci circa il 40% dei rifiuti prodotti dai romani in un anno, prendendo atto – immagino – che sia impossibile adeguare la città agli standard europei sulla differenziazione dei rifiuti.
Oggettivamente una sconfitta immaginare che Roma non possa farcela. Ma una scelta è stata fatta. Ed è tutta qui la questione. Roma ha scelto il recupero di energia invece del recupero di materia. In contrasto con la linea del Piano Regionale dei Rifiuti e con le Direttive Europee. Ma questa è un’altra storia ed immagino che questi aspetti siano stati valutati.
Da questa scelta discendono le altre azioni: si dovrà investire su soluzioni impiantistiche volte prioritariamente al recupero di energia. Per esempio, in questa logica, avrebbe senso spingere sulla separazione della frazione organica da trattare in impianti di digestione anaerobica con produzione di biometano. Perché poi la questione è: era l’unica soluzione possibile? Chiaramente no. Personalmente credo che la soluzione giusta stia negli impianti di valorizzazione delle frazioni separate dalla differenziata, e non nei termovalorizzatori, che dovrebbero esistere solo a valle del recupero di materia, per recuperare energia da quella parte di rifiuto che altrimenti finirebbe in discarica. E non solo per ragioni ambientali ma anche per ragioni economiche. Recuperare materia conviene economicamente di più che recuperare energia.
Ma mi rendo conto che un tempo così lungo e una evidente incapacità di realizzazione di qualsivoglia progetto volto alla differenziazione del rifiuto ed al recupero di materia, abbia fatto pendere la bilancio verso un altro tipo di soluzione. Più immediata. Apparentemente più semplice e più a portata di mano.
Trovo che grande responsabilità di questa scelta sia da ascrivere a coloro che con i loro no a tutto, capeggiando ogni rivolta di quartiere per qualsiasi tipo di impianto, hanno creato i presupposti e le condizioni per cui si è arrivato all’annuncio di ieri. L’annuncio di una scelta. Che, statene certi, sarà la prima puntata di una lunga serie di vicissitudini.